Come un gatto in Tangenziale

Un uomo e una donna si incontrano a causa dei figli che si sono innamorati. Lo scontro sarà inevevitabile.
Come un gatto in Tangenziale

Giovanni lavora per una think tank che si propone di riqualificare le periferie italiane. La sua ex moglie Luce coltiva lavanda in Provenza, convinta di essere francese. Giovanni e Luce hanno allevato la figlioletta tredicenne Agnese secondo i principi dell’uguaglianza sociale, anche se vivono al caldo nel loro privilegio. E quando Agnese rivela a Giovanni la sua cotta per Alessio, un quattordicenne della borgata romana Bastogi tristemente nota per il suo degrado, papà, terrorizzato, segue la ragazzina fino alla casa dove Alessio abita insieme alla mamma Monica e alle due zie Pamela e Sue Ellen (sì, come le protagoniste di Dallas). Giovanni scoprirà che Monica è altrettanto atterrita all’idea che suo figlio frequenti una ragazzina dei quartieri alti: “Non siamo uguali”, Monica avverte Alessio. “Inutile farsi illusioni”.

Riccardo Milani, insieme al team di sceneggiatori che comprende (oltre a se stesso) Paola Cortellesi, Giulia Calenda e Furio Andreotti, affronta quello che oggi è IL tema: ovvero l’incomunicabilità fra il centro e la periferia, fra un’alta borghesia intellettuale teoricamente illuminata spesso al vertice delle istituzioni e una piccolissima borghesia che di quelle stesse istituzioni non si fida per niente.

È il divario al cuore del dibattito politico attuale, anche se parlare di dibattito è improprio, perché queste due categorie sociali nella realtà non comunicano proprio. Ed era dunque sacrosanto portare questo tema al cinema, meglio ancora se nella forma apparentemente rassicurante della commedia, poiché l’incomunicabilità sociale si presta da sempre ad una lettura (tragi)comica.

Quella che dovrebbe essere mantenuta intatta, tuttavia, è la complessità umana dei personaggi rappresentati, e su questo fronte Come un gatto in tangenziale dimostra troppo poca attenzione: non alla correttezza politica, della quale tutti siamo stufi, ma al modo autentico in cui le persone parlano e si comportano. I due mondi opposti di Giovanni e Monica sono ritratti con una mancanza di sfumature e di contraddizioni interne che vanifica l’intenzione di non fare di loro degli stereotipi tout court. È giusto estremizzare le caratterizzazioni a effetto comico, ma bisogna conoscere molto bene le persone (reali) su cui quelle caratterizzazioni sono basate, e restituirle nella loro verità essenziale. Il non conoscere davvero l’altro è il tema della storia, enunciato esplicitamente da una battuta di dialogo, eppure non sembra essere la priorità degli autori, più preoccupati di creare paradossi divertenti che di rendere i personaggi profondamente riconoscibili.

Si ride e si sorride guardando Come un gatto in tangenziale, perché la situazione è paradossale, perché l’argomento toccato è attuale, perché Paola Cortellesi e Antonio Albanese sono attori comici capaci. Ma ci si domanda perché, ad esempio, Giovanni porti Monica a vedere un film armeno e non cerchi invece di mediare fra i suoi gusti e quelli della donna, o perché Monica, ad un aperitivo elegante, si abbuffi anche se sta cercando di passare da educata. Non c’è una vera conoscenza, o una vera comprensione, di questi due esseri umani, nè sottigliezza nel raccontarne i limiti socioculturali, o nel contrapporli alla loro indole individuale. Eppure la risata con un fondo doloroso di verità è più efficace e lascia il segno, oltre che l’amaro in bocca. Ancora una volta invece si è scelta la strada della medietà, della risata innocua, del retrogusto dolciastro.

Dentro a questo film se ne nasconde un altro più coraggioso, meno scontato, più aderente alla realtà. Un film necessario come necessario è il tema, invece che meramente gradevole. Persino il tema musicale, composto dal solitamente abilissimo Andrea Guerra, si rifà a una hit internazionale come “Despacito”, invece di trovare una via autentica per raccontare il presente nazionale. 

Come un gatto in Tangenziale
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