Leonardo è un cinquantenne ostinatamente single che fa il giornalista di successo sul web occupandosi di alte tecnologie e ha una figlia di 15 anni, Yolanda, lascito di un matrimonio naufragato. Yolanda è stanca di vedere il padre nutrirsi di involtini primavera surgelati e crogiolarsi nel suo infantilismo regressivo, e pensa che la chiave di volta possa essere una relazione stabile. Per metterlo di fronte ai suoi innumerevoli fallimenti in materia sentimentale Yolanda decide di mandare a tutte le ex di Leonardo un sms che dice: “Sono cambiato. Riproviamoci!”. E le sue ex rispondono, ognuna secondo la propria modalità.
La premessa di questa ennesima avventura cinematografica di Leonardo Pieraccioni contiene in sé un numero esorbitante di implausibilità, a cominciare dall’agiatezza economica di un giornalista web, per continuare con la disponibilità di una serie di donne adulte a rispondere ad un messaggino da parte del tipo che le ha lasciate per proseguire la sua strada di serial lover.
Ma come premessa comica è curiosa, e ha il potenziale per una di quelle farse alla francese cui il cinema d’oltralpe ci ha abituati negli ultimi anni. Il punto debole è la struttura narrativa creata da Pieraccioni insieme a Filippo Bologna, che cede spesso al buonismo e al moralismo di facciata e si lascia andare a svolte e dialoghi via via più improbabili.
I punti di forza invece sono una serie di personaggi che, pur nella loro assurdità, rivelano angolazioni interessanti, anche perché sono affidati all’interpretazione di una galleria di attori competenti, fra cui Antonia Truppo, Gianluca Guidi e soprattutto Gabriella Pession, che regala tenerezza e tempi comici impeccabili al ruolo di Elettra sul quale si sarebbe potuta costruire un’intera commedia: la virago pragmatica con un perverso ascendente su un farloccone di provincia come il Pieraccioni cinematografico.
La sceneggiatura, pur nelle sue derive demagogiche (fra cui il ritratto maschilista di un’oca giuliva detta 48 per il suo presunto numero di neuroni), lascia spazio all’improvvisazione vernacolare di Pieraccioni, vero punto di forza del comico. E apre a quella vena malinconica che, in un paio di occasioni (l’incontro con la fidanzatina del liceo, il dialogo finale con l’ex moglie), lascia intravvedere qualche sprazzo di autenticità autobiografica e un principio di vera autocritica.
La domanda centrale della storia, ovvero “Quando e perché finiscono gli amori?”, nasconde uno strazio sincero, soprattutto nei confronti di un’unione matrimoniale terminata nonostante una figlia molto amata. Considerato che il suo nume tutelare dichiarato è Monicelli, Pieraccioni fa bene ad esplorare il lato amaro del proprio personaggio, smarcandosi occasionalmente dalla melassa.
Se son rose è la riflessione di un Peter Pan sulle proprie responsabilità nei fallimenti sentimentali collezionati nel tempo, ma anche sulla fragilità strutturale di una generazione maschile autocompiaciuta e programmaticamente immatura. Con un po’ di coraggio in più Pieraccioni potrebbe uscire dalla dimensione fintamente fanciullesca ed entrare con successo in quella cinico-romantica alla Bill Murray, versione toscana