L’anziana Joan Stanley vive serenamente in un elegante sobborgo londinese, tra le fotografie dei nipotini e la passione per il giardinaggio, quando viene arrestata dal MI5 e accusata di spionaggio e tradimento. Il figlio avvocato, Nick, non crede ai suoi occhi, ma, durante l’interrogatorio, Joan viene forzata a ricordare i tempi in cui studiava fisica a Cambridge, la passione per il comunista Leo Galich e il lavoro negli uffici del segretissimo Tube Alloys Project, alle dipendenze del professor Max Davies, e il passato riaffiora, più complesso e drammatico di quanto Nick avesse mai potuto immaginare.
Il produttore di Marilyn e Shakespeare in love ha giustamente visto nella vicenda di Melita Norwood una storia nella Storia, con i caratteri di leggendarietà e di umanità che avevano portato al successo i suoi prodotti precedenti. Qui non si tratta, però, del più misterioso e geniale drammaturgo di tutti i tempi, né della donna più bella e più triste del mondo, bensì della più potente delle bombe, l’atomica, al tempo della sua invenzione.
Classico che classico è dir poco, nello stile e nella costruzione, che alterna l’interrogatorio poliziesco nel presente con il ricordo del passato cronologicamente ordinato, il film di Trevor Nunn trova un buon equilibro tra pieni e vuoti, amplificazioni e riduzioni, ma non passerà alla storia come un esempio eccelso di cinema di spionaggio.
Mentre i flashback costruiscono la spy story, con tratti di romanzo sentimentale, personaggi non ugualmente riusciti e colpi di scena di dovere, il presente è ridotto a momenti brevi e di servizio, che servono a rilanciare il racconto ambientato negli Quaranta, come fossero capitoli di un libro (e il libro di partenza c’è: “La ragazza del KGB” di Jennie Rooney). Eppure, in quelle rapide scene in cui non accade nulla o quasi, con la vecchia protagonista davanti alla solita (e qui poco verosimile) coppia di investigatori, Judi Dench offre un’altra delle sue performance, recitando soltanto con gli occhi e con l’ausilio di un abito opportunamente dimesso e di una gamba malferma. Nel frattempo, il film nel film dei ricordi di Joan amplifica, con qualche esagerazione, il suo ruolo nella Storia, facendone l’inventrice della guerra fredda e la fautrice di quella distensione che ha assicurato all’Occidente un lungo dopoguerra di pace. Rispetto alla figura reale della Norwood, Red Joan non è una simpatizzante del comunismo, né fa quel che fa per salvare il sistema Unione Sovietica: con un certo schematismo, che insiste sul suo essere donna in un mondo di scienziati maschi senza cuore, il film punta sulla sua reazione emotiva ai fatti di Hiroshima e Nagasaki e sulla necessità morale di scongiurarne altri.
Peccato, in definitiva, che un film che mira a raccontare l’esistenza dello straordinario dietro un’apparenza di placida quotidianità, non faccia uno sforzo per uscire a sua volta dalla convenzione, nell’uso dei flashback così come nella sbrigativa e prevedibile linea che lega madre e figlio nei giorni dell’arresto. Trevor Nunn, che ha una storia gloriosa in ambito teatrale, al cinema ha ancora della strada da fare.