È la sera dell’8 maggio 1945, giornata della vittoria degli Alleati contro la Germania nazista. Giorgio VI si appresta a parlare all’Inghilterra via radio, superando la sua balbuzie: è lo stesso discorso del re celebrato dal film di Tom Hooper. Ma le sue due figlie Elizabeth – futura regina Elisabetta II – e Margaret scalpitano per unirsi al caos gioioso che si è riversato per le strade di Londra. La loro mamma, Elisabetta I, è fortemente contraria ma papà Giorgio acconsente a mandare le ragazze al ballo che si terrà all’Hotel Ritz, scortate da due guardie reali. Appena arrivate al Ritz però Margaret, la sorella più intraprendente, riesce ad eludere la sorveglianza delle guardie e sgattaiola fuori dall’hotel, tuffandosi nel fiume di londinesi in festa. Al suo inseguimento si lancia Elizabeth, anche lei depistando i due chaperon.
On V.E. Day in 1945, as peace extends across Europe, Princesses Elizabeth and Margaret are allowed out to join the celebrations. It is a night full of excitement, danger and the first flutters of romance.
Una notte con la regina trae ispirazione da un episodio realmente accaduto – l’uscita di Elizabeth e Margaret, all’epoca di soli 19 e 14 anni, dalla residenza reale la sera della vittoria per recarsi al ballo del Ritz – e inventa un’avventura per le due principesse (aumentandone un po’ l’età anagrafica) che comporta un inseguimento fra autobus, l’excursus in un bordello e l’incontro tra Elizabeth e un giovane aviatore, Jack (come il protagonista di Titanic), che non sa di avere a che fare con una principessa (come il giornalista di Vacanze romane). È un esercizio in immaginazione e creatività che richiede una certa sospensione dell’incredulità, soprattutto per quanto riguarda le due guardie reali ubriacone e donnaiole, ma che si rivela una divertente e per certi versi commovente cavalcata nella nostalgia per un’epoca lontana più semplice ed un cinema più incline al sogno. La ricostruzione d’ambiente, popolata da centinaia di comparse in costume, ha il sapore della messinscena teatrale o della favola disneyana, ma a rendere moderna la narrazione sono i dialoghi, ispirati nel vocabolario e nella enunciazione alle commedie sofisticate anni ’40, ma carichi di senno di poi e colorati dalla nostra sensibilità contemporanea. Gran parte del sottotesto riguarda l’ingiustizia del sistema di caste inglese che, anche in tempo di guerra, manda avanti i suoi paria e tiene al caldo i suoi bramini.
Sarah Gadon è un’efficace ingénue nei panni di Elizabeth, ma a rubare la scena, ogni singola scena, è Bel Powley nei panni di Margaret, goffa e pasticciona, incosciente e maliziosa, affamata di vita e di emozioni forti eppure ingenua e teneramente naif. Rupert Everett è un re Giorgio apparentemente impassibile ma in realtà visibilmente fragile ed Emily Watson è la saggia e severa Elisabetta I.
Se la traccia narrativa che riguarda Elizabeth ricalca la sceneggiatura di Dalton Trumbo per il film di William Wyler, quella che riguarda Margaret attinge alla screwball comedy e prefigura un’eroina alla Judy Holliday (per non dire alla Mae West). Non guasta che, accanto a lei, per un tratto dell’avventura di una notte ci sia l’impareggiabile Roger Allam nei panni del proprietario di un locale a metà fra lo speakeasy e la casa di tolleranza, un uomo scevro da ogni ipocrisia britannica e imbevuto di pragmatico opportunismo.
Conditio sine qua non per apprezzare fino in fondo questa favola è soprattutto la comprensione del rapporto di profondo amore e familiarità che gli inglesi hanno con la famiglia reale, non privo di spirito critico ma ricco di genuina devozione patriottica