Quattro fratelli (tre maschi e una femmina), che non si incontravano da molti anni, si ritrovano in seguito alla morte del padre. Con il genitore il rapporto non era mai stato buono a causa del suo atteggiamento rigido nei loro confronti, reso tale anche dalla sua passione per la caccia e dal desiderio di trasmetterla ai figli. La villa in cui sono stati bambini è l’unica eredità che resta loro. Dividere in quattro parti il ricavato dalla vendita non risolverebbe a nessuno i rispettivi problemi. Uno di loro fa una proposta che gli altri finiscono con l’accettare.
Marco Bocci alla sua opera seconda mostra una considerevole capacità di controllo di tutti gli elementi della messa in scena nonché del genere che affronta in questa occasione.
Cinque personaggi non in cerca ma con la consapevolezza di avere un autore (anzi tre dato che soggetto e sceneggiatura sono firmati, oltre a Bocci, da Alessandro Pondi e Alessandro Nicolò) sono quelli che La caccia ci presenta. Silvia, che non assume stupefacenti da 125 giorni e, grazie a una convivente, vorrebbe diventare mamma. Luca, che vende auto e sta facendo il passo più lungo della gamba per aprire una sede più ampia della sua concessionaria. Giorgio, impiegato alla contabilità di un ipermercato del mobile, che non sa più come soddisfare le esigenze della consorte e della figlia. Mattia, un pittore che convive con un’aspirante cantante e dipende, per guadagnarsi da vivere, dagli umori del mercato dell’arte. Su di loro l’ombra annichilente di un padre che ha schiacciato la loro infanzia determinandone così insicurezze e tensioni.
Bocci trova nel suo cast le giuste sfumature necessarie a caratterizzare i personaggi affidati creando un equilibrio in cui a nessuno è consentito di prevalere ma a tutti viene dato lo spazio necessario. Quasi incredibilmente (rispetto al panorama generale del cinema italiano) poi anche i Luca, Giorgio, Mattia e Silvia bambini risultano credibili nel fare proprie le domande inespresse dinanzi alla pervicace durezza di un padre tanto capace di imbracciare un fucile e mirare quanto restio a mettere a fuoco la propria inadeguatezza come genitore e marito.