Lo studioso di simbologia professor Langdon si risveglia in una stanza di ospedale a Firenze. È ferito alla testa, ha ricordi estremamente confusi e non sa perché si trova nel capoluogo toscano. Quando una donna vestita da carabiniere fa irruzione nella casa di cura non gli resta che fuggire con l’aiuto, della giovane dottoressa Sienna Brooks. Alla base di tutto c’è un genio della genetica che ha deciso di salvare l’umanità dalla sua altrimenti inevitabile dissoluzione diffondendo un virus che riduca drasticamente il numero degli abitanti della Terra.
Esattamente dieci anni fa con Il codice Da Vinci aveva inizio il sodalizio tra Dan Brown e Ron Howard, proseguito nel 2009 conAngeli e Demoni. Considerati gli esiti al Box Office non si poteva non attendersi che anche la terza impresa del professor Robert Langdon trovasse la via del grande schermo confermando la solidità della coppia e la presenza di Tom Hanks nel ruolo principale. Chi ha letto il libro (e sono stati tanti se si considera che solo venti giorni dopo l’uscita si erano già raggiunti i nove milioni di copie vendute nel mondo) si è chiesto come avrebbero fatto Howard e lo sceneggiatore David Koepp a trasformare in un film di due ore una storia che aveva due caratteristiche di difficile trasposizione. Perché il romanzo, facendo costante riferimento all’Inferno di Dante Alighieri, ha una forte base legata alla letteratura, cioè alla parola scritta e inoltre, in modo costante, offre ai lettori di tutto il mondo approfondite spiegazioni di luoghi ed opere d’arte che si trovano a Firenze, Venezia ed Istanbul rischiando a tratti di assomigliare a una guida Lonely Planet.
Si può dire che l’impresa sia andata a buon fine anche se, come accade spesso nel passaggio dalla pagina allo schermo, i lettori troveranno numerosi e, almeno in un caso, sostanziali mutamenti. Questa volta però ci verranno risparmiati anatemi e vade retro considerato che il tema non è più il rapporto con la fede cattolica e con coloro che la professano e diffondono ma si apre a prospettive di indubbia e pregnante attualità. Perché lo scienziato Bertrand Zobrist innesca il suo percorso distruttivo a partire da un dato reale: la crescita esponenziale della popolazione mondiale con i conseguenti e devastanti riflessi sul futuro della vita sul nostro pianeta. La soluzione che trova è drastica e Langdon dovrà impegnarsi per impedirne l’attuazione.
Qui si innesca una dinamica che differenzia il film dai precedenti. Se prima la detection si fondeva con l’azione, qui la dinamica è quella della fuga costante da pericoli incombenti cercando di impedire un evento catastrofico. Tom Hanks ha da sempre nello sguardo e nelle espressioni del volto un fondo di paura misto alla volontà per neutralizzarla. Quindi chi meglio di lui poteva fuggire correndo o cercare temporanei rifugi in una Firenze che con il suo splendore diviene coprotagonista a tutti gli effetti della narrazione? Tutto ciò mentre allucinazioni e sprazzi di memoria disturbanti lo perseguitano e una giovane donna lo accompagna? Se la storia di un amore che torna dal passato rischia di attenuare la tensione, resta però ripetuta con forza la questione di base che non è di carattere solo finzionale. Perché a un anno di distanza dall’uscita del libro, non lo Zobrist inventato da Brown ma il fondatore del Front Nationale francese Jean-Marie Le Pen dichiarava che il virus Ebola avrebbe potuto risolvere in tre mesi il problema dell’immigrazione dall’Africa. Quindi ben vengano film come questo che hanno lo scopo di intrattenere mentre ci ricordano che il confine tra finzione e realtà è talvolta decisamente sottile e che, come recita la frase che apre il romanzo, “i luoghi più caldi dell’inferno sono riservati a coloro che in tempi di grande crisi morale si mantengono neutrali”. Un’affermazione a doppio taglio ma che non può non far pensare.
Inferno
“Dopo Il codice Da Vinci, Ron Howard adatta il libro di Dan Brown incentrato sulle avventure di Robert Langdon„