Dato: è sempre il momento di Walt Disney, da quasi un secolo. A Londra si sta organizzando la produzione di Mary Poppins Returns, il remake del film del 1965. Una breve retrospettiva è indispensabile. Primo assunto: siamo tutti figli di Walt Disney. La genialità e la forza delle sue invenzioni hanno profondamente inciso sul carattere, sulla formazione sentimentale e culturale, e anche estetica di molte generazioni. I modelli erano sempre positivi e benemeriti, rassicuranti e utili. Occorrerebbe una Treccani per un’analisi, mi limito ai vertici, tutti ben presenti nella nostra memoria. Qualche nome e un titolo esemplari: il saggio e positivo Topolino, il simpatico Paperino e poi tutti quegli animali che trasmettevano, con efficacia, i sentimenti umani.
Un titolo eroico: Biancaneve e i sette nani, che nel 1937 soccorse un Paese, l’America e di riflesso il mondo, nel momento della grande depressione.
Cucciolo e compagni scavano diamanti, già tagliati e grossi come mele. Li chiudono in una baracca e appendono la chiave fuori dalla porta. E vivono in tutta modestia. Strepitose metafore dunque: è più importante essere che avere, e poi quella chiave che rappresenta la riserva, la fiducia che tutto si risolverà e il benessere che è lì dietro l’angolo chiuso in una baracca.
Non esiste una storia di formazione più potente
E tutto un lungo, fantasmagorico, “unico” percorso, per arrivare a Mary Poppins, portatrice di significati ancora più generali e profondi. Mi espongo: non credo esista una storia di formazione più potente di questa. Per cominciare vale l’happening reiterato del film, anno dopo anno, Natale dopo Natale. E se per caso salta quella ricorrenza se ne sente la mancanza. E non credo proprio che ci sia un solo genitore contrario alle indicazioni di quel racconto. Opera di formazione: Mary è istitutrice perfetta, ai bambini – Jane e Micheal nel film e a tutti quelli che il film lo vedono- insegna divertendo; c’è il padre severo che a poco a poco si piega alle regole di Poppins; c’è il lampionaio spazzacamino fantasioso e magico; la madre (quasi) femminista. Non manca un’indicazione sul denaro, che può anche mancare ma… poi si rimedia. E poi le canzoni, diventate, quasi tutte, dei classici.
La musica e il cast
Titoli come “Supercalifragilistichespiralodoso”, “Cam Caminì”, “Un poco di zucchero”, “Com’è bello passeggiar con Mary”, fanno parte della memoria popolare ed eterna del cinema. Il remake vede alla regia Rob Marshall, Emily Blunt nel ruolo di Mary che fu di Julie Andrews e Lin-Manuel Miranda in quello dello spazzacamino Dick Van Dyke che comunque sarà presente, oggi novantenne, anche nel remake. Da rilevare, nel cast, presenze come Meryl Streep, Colin Firth e Angela Lansbury, coetanea di Van Dyke. La vicenda fa un salto temporale di una ventina d’anni, siamo verso la fine degli Anni Venti, in piena recessione economica. I bambini sono diventati grandi. La famiglia si trova in brutte acque. È davvero il momento, per Mary, di tornare a sistemare le cose.
Il burrascoso rapporto tra Walt Disney e la scrittrice Pamela Travers Lyndon
La piattaforma del sequel non sarà il classico del 1964. Gli autori hanno studiato gli altri romanzi di Pamela Travers Lyndon, l’autrice, che erano una sorta di serial alla Harry Potter. Per il film la Disney aveva acquisito i diritti, e acquisirli non fu davvero semplice. Per raccontare la sua fatica per convincere la Travers c’è voluto addirittura un film, Saving Mr. Banks, con Tom Hanks nella parte di Disney e Emma Thompson in quella della scrittrice. Anche questo è un segnale della portata di quel titolo, non sono molti i film che raccontano la storia di un film, con modalità diverse. Ricordo Via col vento, Roma città aperta, La regina d’Africa, Un uomo tranquillo, Psyco, 8 e 1/2. Roba mitologica. La scrittrice australiana, abituata ad altra cultura e ad altri scenari, fuggì frastornata da Disneyland che considerava “un baraccone per far soldi”. Era autrice durissima, di cultura vittoriana, refrattaria ad ogni compromesso. E intendeva difendere a oltranza l’identità della sua opera. Era particolarmente irritata da come la sceneggiatura avesse stravolto i caratteri della Poppins, che nel romanzo è una tata vittoriana, dura e severa, certo lontana dall’allegria e dall’appeal della Mary del film. Disney la blandì in tutti i modi, la rincorse in Australia, le propose un contratto d’oro. Il cineasta era uomo convincente, riuscì, a poco a poco, a farle capire il cinema e le sue regole. Prima della firma del contratto, la coinvolse nella fase artistica, le musiche, i testi, certo lontani dai codici letterari. Alla fine ce la fece. Pamela cedette rendendosi conto che la “qualità” era diversa, ma sempre di qualità, alta, da cinema, si trattava. Da quel 1964 visse consapevole che il suo nome era legato a Walt Disney, e un po’ le seccava, ma non molto. Morì nel 1996, a 97 anni. Lasciando un patrimonio.
Un nome che certo va fatto è quello di Marc Shaiman, compositore, erede di Irwin Kostal che scrisse le musiche nel 1964.
Ribadisco, è sempre il momento di Disney, artista dall’enorme inventiva e dalle infinite responsabilità. Certo vale un dato: Disney non c’è più da oltre mezzo secolo e la “Disney” ha continuato nel suo percorso con un passo travolgente, evolvendo tecniche e contenuti secondo le epoche. Moltiplicando produzioni e denaro. Ho scorso la lista degli Oscar vinti dalla “Disney”, sono 26 (record), cominciano nel 1932 e finiscono nel 1956. Solo uno, del 1969, non è di Walt, morto nel ’66. È un segnale…interessante