IL PROFESSORE E IL PAZZO

MA LA VICENDA (VERA) È COSÌ BELLA CHE È IMPOSSIBILE NON FARSI ENTUSIASMARE.
IL PROFESSORE E IL PAZZO

Dopo anni di stallo, nel 1879, la grande impresa di redazione dell’Oxford English Dictionary, trovò nuova linfa, e vide più tardi la luce della pubblicazione, grazie al lavoro infaticabile del professor James Murray e dei volontari di tutto il mondo a cui si era appellato, nella ricerca di individuare e spiegare ogni parola della lingua inglese. Tra questi, il più solerte e affidabile mittente di schede, era un uomo che si firmava W.C. Minor, che Murray scoprì risiedere nel temibile manicomio di Broadmoor. Anni prima, infatti, vittima di una gravissima paranoia, Minor aveva ucciso per errore un passante, scambiandolo per il suo persecutore immaginario, e lasciando la moglie di lui vedova con sei figli da sfamare.

Il “professore”, James Murray, non aveva una laurea, era figlio di un sarto e autodidatta. Il “pazzo” era un uomo di cultura, medico chirurgo, traumatizzato dagli orrori della guerra e dal più accanito dei nemici: se stesso, il suo senso di colpa.

L’uno era scozzese, l’altro americano. Più simili, cioè, di quanto si potesse immaginare, accomunati dall’estraneità alla convenzione, e poi, dopo anni di scambio epistolare, legati tra loro, esattamente come sono legate tra loro le entrate di un dizionario. Non a caso, i loro primi incontri, nel film, sono raccontati attraverso un dialogo singolare, un gioco di lemmi, che è sfoggio di passione e erudizione, e riesce, insieme alle scene quotidiane di lavoro nello scriptorium di Murray, nella sfida più intrepida, quella che dà carattere al film e al libro di partenza prima di lui: rendere appassionante il mestiere del lessicografo.

Anziché guardare solo al passato, così facendo, Il professore e il pazzo incarna un paradigma narrativo, uno di quelli che al cinema funzionano meglio di tutti: la devozione di un uomo ad un’impresa abissalmente più grande di lui, mai concepita prima, “pazza” furiosa come Minor (il linguaggio del film lo dice con le ripetute incursioni della carrozza del professore oltre le porte del manicomio), ma luminosa come un sogno.

Non stupisce che sia nata da Mel Gibson la richiesta di adattamento del libro del giornalista Simon Winchester: l’attore, per il tramite del suo personaggio, insiste sulla fede religiosa di Murray, sottolinea come miracoloso l’incontro con Minor, e trasforma la tragica vicenda umana di quest’ultimo in una storia di redenzione. P. B. Shemran, dal canto suo, applica a questa visione una struttura cinematografica ultra classica e restaurativa, che nella seconda parte del film non riesce ad evitare le lusinghe del didascalismo e del patetico (e Sean Penn in questo senso ci mette del suo, con una performance altalenante).

Il professore e il pazzo, in fondo, è dunque un film di costumi e scenografie, di personaggi secondari spesso unidimensionali (eccezion fatta per il Mr Muncie di Eddie Marsan), il cui “vocabolario” registico non comprende voci particolarmente originali, ma racconta una storia (vera) così bella che è impossibile non farsi entusiasmare da essa e dai suoi tanti risvolti.

IL PROFESSORE E IL PAZZO
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TERMINATA