Ferdinando è un magnifico toro che adora i fiori e odia combattere. È cresciuto in un allevamento di tori da corrida mas è l’unico degli ospiti a non morire dalla voglia di andare a morire nell’arena, forse perché ha visto suo padre partire e non tornare più, e qualcosa gli suggerisce che non siano sempre i tori a trionfare contro il matador. Da torellino dunque è fuggito ed è stato accolto da Nina, una bambina il cui padre alleva fiori: è il paradiso per Ferdinand, ma quando diventerà adulto un equivoco lo riporterà sulla strada della competizione. Riuscirà il gigante buono ad affermare la propria natura pacifica?
Ferdinand è la versione cinematografica del corto disneyano Ferdinando il toro, vincitore nel 1938 di un Oscar per il soggetto, a sua volta basato su La storia del toro Ferdinando di Munro Leaf del 1936.
Il regista è il brasiliano Carlos Saldanha brasiliano, già coregista di L’Era glaciale, e autore unico di Rio e Rio 2 e L’era Glaciale 2 e 3. Saldanha resta fedele alla storia originale e una certa bucolica naiveté dettata dal personaggio centrale del toro gentile, ma aggiunge alcuni tratti caratteristici del suo cinema: l’ironia, la comicità fisica, la capacità di inserire elementi di attualità pop (in una delle spassose scene di ballo c’è chi fa twerking e chi mima la Dab di Pogba), la velocità delle scene d’azione, e un certo gusto che tiene la narrazione un pelo al di qua dello stereotipo etnico (in questo caso ispanico) pur conferendogli un colore locale.
La trama si concentra su un tema molto frequentato dal cinema di animazione recente, cioè quello di seguire la propria natura indipendentemente da cosa ne pensino gli altri, e ha anche un forte messaggio pacifista (oltre che animalista: la corrida è qui ritratta come barbarie travestita da tradizione, il mattatoio come l’incubo dei bovini), ma Saldhana si ricorda soprattutto di divertire, e crea una galleria di personaggi comici tra cui spiccano la capra Lupe, tre porcospini che paiono usciti da Mission: Impossible e tre cavalli assolutamente demenziali. L’ironia degli autori è evidente anche nella scelta del doppiatore americano di Ferdinand, il campione di wrestling John Cena. Anche il modo con cui trattano argomenti davvero delicati, come la morte di un padre e il destino delle bestie da macello, riesce ad essere garbato senza per questo negare la realtà dei fatti.
C’è un ultimo tema che Ferdionand tratta con sublime leggerezza e senza mai sottolinearlo troppo: quello della virilità maschile come stereotipo di certe culture latine, uno stereotipo che limita tutti nella definizione autonoma della propria identità, anche di genere. Ferdinand insegna ai suoi simili che i tori non sono nati solo per combattere ed esercitare prepotenza l’uno sull’altro, che possono piangere o rimpiangere un amico, che esistono “posti dove essere se stessi senza venire maltrattati o spediti al mattatoio”. E che il toro, in quanto rivale dell’uomo, non vince mai: dunque deve cominciare a trovare un’altra espressione per la sua energia