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Una calda estate in un quartiere periferico di Roma. Nelle villette a schiera vivono alcune famiglie in cui il senso di disagio costituisce la cifra esistenziale comune anche quando si tenta di mascherarlo. I genitori sono frustrati dall’idea di vivere lì e non altrove, di avere (o non avere) un lavoro insoddisfacente, di non avere in definitiva raggiunto lo status sociale che pensavano di meritare. I figli vivono in questo clima e ne assorbono la negatività cercando di difendersene come possono e magari anche di reagire.
I fratelli D’Innocenzo, dopo aver offerto al pubblico un film d’esordio (La terra dell’abbastanza) che ha meritato ampiamente tutti i riconoscimenti ricevuti, propongono ora un’opera in cui bisogna immergersi senza essersi dotati di coordinate di sinossi precise, accettando, con una sorta di patto iniziale, non solo di sentirsi raccontare una storia di sofferenza ma di avvertire che la sofferenza stessa tracima dallo schermo.
Gli autori la definiscono, in contrasto con il realismo della loro opera prima, come una favola nera in cui hanno riversato, attraverso la voce di un narratore, il vuoto pneumatico di figure parentali (con in più un docente) che dovrebbero insegnare a vivere ai propri figli mentre invece hanno perduto qualsiasi capacità di positività e di sguardo sul futuro.
La loro vita è fatta di passività (le mogli) o di aggressività verbale (la neo madre) mentre i maschi (chiamarli ‘uomini’ sarebbe attribuire loro una maturità intellettuale e caratteriale che, ognuno a suo modo, non possiedono) si nutrono di rabbie a stento represse e di velleità machiste. Ma, come insegnava Vittorio De Sica nel 1943 I bambini ci guardano. Come il piccolo Pricò, questi ragazzini sono costretti ad assistere al disfarsi e corrompersi di qualsiasi punto di riferimento. Anche se hanno tutti 10 nella pagella scolastica (magari con un 9 in condotta) quella che potrebbero assegnare ai genitori dovrebbe riempirsi solo di “inclassificabile” che è una valutazione ancora peggiore dello 0. Costretti da ciò che li circonda a comportarsi ‘da grandi’ (come se quello che i loro modelli familiari propongono significasse esserlo) cercano di individuare una via d’uscita. La troveranno con soluzioni diverse.
I D’Innocenzo ci propongono solo tinte scure e a uno sguardo superficiale si potrebbe pensare che di pessimismo oggi ne circola già abbastanza senza bisogno di ulteriore impegno. Di fatto però non è così. Perché questa più che una favola nera è (ci si perdoni il gioco di parole) una favola ‘vera’. Basta leggere le cronache quotidiane per rendersene conto.
E se nelle favole nere non ci sono principi azzurri qui invece ce ne sono ben due. Sono i D’Innocenzo che, concentrando in una sorta di overdose narrativa il negativo sempre più presente nella società contemporanea, anche se con una diffusione a macchia di leopardo, ci vogliono ammonire. Ci ricordano che sempre più spesso i draghi dell’insensibilità e dell’amoralità (travestita da perbenismo di facciata) si annidano in quelle grotte che sono diventate certe abitazioni in cui solo apparentemente c’è tutto ciò che occorre. Questo film è la lancia che utilizzano per aiutarci a prenderne coscienza e ad iniziare a stanarli per poi sconfiggerli.