Amburgo, 8 dicembre 1934. Luigi Pirandello è in treno, direzione Stoccolma, e sta andando a ritirare il Premio Nobel per la letteratura. Davanti a lui passano i fantasmi della sua esistenza: la figura di Marta Abba, giovane attrice diventata sua musa ispiratrice che lo aveva conquistato durante un provino a Roma nel 1925 e che ha rappresentato il sogno di un amore assoluto; la follia della moglie Antonietta Portulano che è stata ricoverata in manicomio nel 1919; il profondo legame ma anche il difficile rapporto con i figli Lietta, Stefano e Fausto; il controverso rapporto con il fascismo; i trionfi ma anche gli insuccessi come la rappresentazione dei Sei personaggi in cerca d’autore accolta da fischi e insulti da parte del pubblico nel debutto al Teatro Valle di Roma il 9 maggio 1921; l’illusione di una collaborazione cinematografica con il grande regista tedesco Friedrich Wilhelm Murnau.
Si erano già incrociati i destini di Luigi Pirandello e Michele Placido, che nel film si ritaglia il ruolo di Saul Colin, l’agente letterario del drammaturgo e scrittore.
Al cinema La scelta, uno dei film meno riusciti del regista, è liberamente ispirato alla commedia drammatica L’innesto. A teatro ha portato sul palco, tra gli altri, “Placido recita Pirandello”, “Io e Pirandello”, “Cosi è (se vi pare)” e nel 2025 andrà in scena con Pirandello. Trilogia di un visionario che comprende tre delle sue opere: “Lettere a Marta”, “L’uomo dal fiore in bocca” e “La carriola”. Forse è una coincidenza ma il termine ‘visionario’ è presente sia nel film che nella rappresentazione, una visione che probabilmente l’attore e il cineasta ha sempre avuto di Pirandello ma che proprio con questo termine la riaggiorna e rende più moderna.
La vicenda biografica è volutamente frammentata e procede per salti temporali. Da quel treno per Stoccolma lo sguardo di Pirandello, interpretato un bravissimo Fabrizio Bentivoglio che è volto e corpo riconoscibile del suo cinema dopo essere stato diretto in Un eroe borghese e Del perduto amore, rivede la sua vita come se si trovasse davanti alle immagini di un film con lui stesso come protagonista. Ed è proprio attraverso cinema, spesso cercato da Pirandello che ritorna nel finale sul set di Il fu Mattia Pascal dove il regista Pierre Chenal lo chiama per battere un ciak, che parte un lungo viaggio che lo porta tra gli arcaici paesaggi delle miniere della Sicilia, la Berlino dei cabaret e soprattutto Roma tra il teatro e gli oscuri interni familiari. Questi sono il luogo di tensioni ma anche allucinazioni creative come nelle visioni nella stanza dove sta scrivendo “Sei personaggi in cerca d’autore” in cui le luci stordenti della fotografia di Michele D’Attanasio contribuiscono a mostrare il legame stretto tra il corpo e la mente di Pirandello e, come lui stesso ha detto, quello tra il talento che si è evoluto ma gli ha impedito di vivere.
Come il precedente L’ombra di Caravaggio, anche Eterno visionario brucia di passione, lascia addosso i segni di un’instabilità che è come se fosse permanente dove si sente ora impotente e in trappola davanti alla moglie interpretata da Valeria Bruni Tedeschi prima che venga ricoverata in manicomio oppure improvvisamente incantato da quando ha conosciuto Marta Abba (Federica Luna Vincenti) per la prima volta.
Pirandello guarda la giovane attrice con un desiderio nascosto ma faticosamente trattenuto simile a quello di von Aschenbach nei confronti di Tadzio in Morte a Venezia. Per questo, forse anche per lo stretto rapporto che c’è col teatro, in Eterno visionario si sente l’influenza di Visconti, evidente anche nel rapporto con gli specchi, proprio quelli che mettono a nudo Pirandello e lo rendono impotente davanti all’impietoso scorrere del tempo. Ma il drammaturgo avanza anche verso l’obiettivo, lo guarda come se volesse astrarsi dalla sua stessa storia. In Eterno visionario c’è tutto l’amore di Placido per l’arte di Pirandello e lo trasforma in tantissimi personaggi. Bentivoglio è uno, nessuno, centomila ed è al centro di un biopic che è invece qualcos’altro, un viaggio onirico pieno di passione e sofferta vitalità in cui ancora una volta Placido tira fuori il meglio dagli attori.