Stefano e Giulio sono amici da sempre, si sono laureati insieme in medicina, ma hanno diverse concezioni della professione, se applicate ad una situazione di guerra. Quella in cui si trovano coinvolti entrambi come ufficiali medici è il primo conflitto mondiale, e mentre Stefano ha come obiettivo quello di rimandare al fronte tutti i feriti al primo accenno di guarigione – soprattutto i “miserabili simulatori” che si sono procurati da soli il modo di evitare il combattimento – Giulio arriva a contagiare, mutilare e privare (magari temporaneamente) della vista o dell’udito quei soldati che vorrebbero solo tornare a casa. Fra i due ufficiali c’è Anna, ex compagna di università che non ha potuto laurearsi con la lode solo perché non potevano dare il massimo dei voti ad una donna, e dunque ha “preferito” diventare infermiera. Nonostante l’affetto per Stefano e Giulio, Anna si troverà a scegliere quale delle loro visioni della medicina e del mondo seguire, soprattutto quando l’epidemia di febbre spagnola arriverà a colpire l’esercito e il Paese.
Campo di battaglia, liberamente ispirato al romanzo “La sfida” di Carlo Patriarca, mette a confronto due morali.
Quella di Stefano che “non festeggia i perdenti” e disprezza i “vigliacchi” intenti a togliere posti letto e assistenza ai “valorosi” lasciando “gli altri a morire per loro”, così che “a fare l’Italia rimarranno solo i furbi”; e quella di Giulio, che voleva fare il biologo ricercatore e finisce per essere soprannominato dai pazienti “La mano santa”, perché “strappa i feriti ad una guerra ingiusta” e si rifiuta di “obbedire alle circostanze”. In mezzo Anna ascolta entrambi, ritenendo “la guerra un dovere e combattere necessario”, ma esercitando una pietas istintiva verso quei soldati poveri e giovanissimi che si esprimono solo in dialetto e si sono ritrovati in mezzo ad un conflitto che non sembra riguardarli.
Gianni Amelio e Alberto Taraglio costruiscono una sceneggiatura minimalista all’interno di una regia (sempre di Amelio) sontuosa coadiuvata dalla bella fotografia di Luan Amelio Ujkaj, ma in qualche modo diluiscono lungo la durata del film la tensione narrativa e la potenza di un messaggio che contempla le ragioni di tutti, e che non può non riportare alla memoria, nella seconda parte, la recente pandemia.
Nessuno di questi due medici agisce per il proprio tornaconto, entrambi rivelano una genuina nobiltà d’animo che però segue percorsi opposti, ed entrambi agiscono in prima persona, assumendosi la responsabilità delle proprie azioni. Di qui un conflitto non manicheo che restituisce complessità alla storia, al contrario dell’appiattimento mediatico avvenuto durante il Covid.
Questo però crea una sorta di catenaccio che riduce l’azione al minimo, e il conflitto fra i due amici non esplode mai, limitandosi (si fa per dire) a seguire percorsi paralleli. Anche la figura di Anna resta a metà del guado, il che è coerente con il suo personaggio, ma non consente un adeguato sviluppo drammaturgico.
Tuttavia Campo di battaglia è una profonda riflessione su come il contesto di guerra estremizzi i caratteri e stritoli le coscienze, costringendole ad una disumanità per la quale non sarebbero naturalmente portati, e verso la quale non dovrebbero essere spinti.