Lucia è una psicologa per cani che si descrive come ansiosa e inadeguata, veste solo fibre naturali e abiti informi e predica contro le proteine animali. Fabiola è la dirigente di un’agenzia immobiliare aggressiva e rampante, perennemente fasciata in tailleur aderenti e arrampicata sul tacco 12. Non potrebbero essere più diverse ma le accomuna un uomo, Paolo, che è stato il marito di Lucia ed è l’attuale marito di Fabiola. Quando Paolo scompare lasciando in eredità il piccolo Paolino, un bimbo per metà cinese del quale entrambe le donne ignoravano l’esistenza, Lucia e Fabiola dovranno necessariamente frequentarsi e trovare il modo di coesistere.
L’ennesima strana coppia del grande schermo questa volta è tutta al femminile, e sorretta da alcune artiste di valore anche dietro alle quinte, dalla sceneggiatrice Doriana Leondeff alla produttrice Donatella Botti. Alla regia c’è Luca Lucini, che ha i tempi agili della commedia ma tende a pattinare in superficie, e a coprire con una patina glamour le problematiche suggerite dai copioni. Funziona bene la chimica fra le due attrici protagoniste: Buy e Gerini sono davvero una buffa strana coppia anche nell’immaginario collettivo, e saggiamente ricamano sulla percezione pubblica dei rispettivi personaggi per regalare più sfaccettature a Lucia e Fabiola.
Soprattutto Claudia Gerini affronta con piglio sicuro il ruolo di Fabiola, senza paura di apparire greve o politicamente scorretta: si ha l’impressione che si sarebbe spinta anche oltre, con maggiore effetto comico, se la regia gliel’avesse consentito. Margherita Buy, come già in Io e lei, le fa generosamente da spalla e da contraltare comico, ed è incoraggiante vedere due donne adulte (e due attrici di consumato mestiere) al centro della trama, sicure delle proprie capacità recitative ma anche di una femminilità in grado di affermarsi indipendentemente dall’abito esteriore, sia esso spandex o cotone biologico. Funziona anche il ritmo narrativo veloce e privo di melensaggini, lasciando alle due attrici abbastanza spazio per creare quelle improvvisazioni estemporanee che sono il sale della commedia.
Meno efficace la scrittura, che fa spesso leva sullo stereotipo e crea situazioni comiche al di sotto delle possibilità delle due interpreti, entrambe perfettamente in grado di gestire materiale più sofisticato in termini di umorismo adulto, e la regia, che confonde leggerezza con superficialità, raccontando ancora una volta un’Italia da rivista patinata che ha poco a che fare con il Paese tragicomico in cui viviamo.