Il quasi quarantenne Julio Cesar vive con la madre in una casa alla foce del Tevere. La donna, di origine colombiana, condivide con il figlio quasi tutti gli aspetti della vita quotidiana. Lavorano per uno spacciatore locale e vanno anche ballare insieme nei locali specializzati in musiche latinoamericane. La loro è una simbiosi che talvolta lascia trapelare tensioni che si acutizzano quando dalla Colombia giunge Ines, una giovane neofita corriere della droga. La gelosia della madre non tarderà a manifestarsi.
Partendo da situazioni di vita personalmente vissuta Enrico Maria Artale porta con partecipazione sullo schermo una relazione complessa.
Figlio di un genitore incontrato solo una volta all’età di venticinque anni, il regista ha sentito il bisogno di indagare il suo rapporto con la madre ovviamente senza rifarsi alla loro specifica relazione ma chiedendosi quali possano essere le luci e le ombre sottese a una relazione tra un figlio ormai adulto e la donna dalla quale non ha mai reciso il cordone ombelicale.
Ha potuto farlo grazie all’adesione non solo professionale ma, potremmo dire, totale di un attore come Edoardo Pesce che ha preso parte, sin dalle sue prime fasi, al progetto. Edoardo diventa Julio Cesar in ogni espressione del volto, della gestualità, della parola in una mimesi che fa di lui l’uomo che ama e al contempo sopporta la donna che gli ha dato la vita e che ora la trattiene a sé impedendo qualsiasi altra intromissione.
Per ottenere però il miglior risultato possibile erano necessari altri elementi: un set reale (la casa), l’ordine di lavorazione in cronologia in modo da far evolvere la storia grazie a una consapevolezza che cresceva di giorno in giorno e, su suggerimento di Pesce, un Artale divenuto operatore del proprio film accompagnando così i movimenti dei suoi attori. I quali, parlando ognuno la propria lingua e dovendo apprendere quella altrui sono stati sottoposti al processo che i loro personaggi debbono affrontare.
Ne è nato un film carico di sentimenti vissuti tra affetto e sofferenza in cui l’arrivo dall’esterno di una figura femminile che non sia solo un corpo a pagamento (unica ‘libertà’ concessa dalla madre a Julio Cesar) rappresenta la possibile apertura a una realtà diversa e, al contempo, anche un avvicinamento a radici culturali che restano sullo sfondo pur facendo sentire il loro richiamo.
Come la musica che in questo film non è mai utilizzata in funzione extradiegetica, cioè di commento più o meno emotivo ma sempre come facente parte dell’azione. Una musica che consente l’avvicinarsi dei corpi di madre e figlio allontanando o, per meglio dire, sublimando il possibile legame incestuoso. El Paraiso è solo il nome di una piccola imbarcazione perché in realtà quello in cui vivono i protagonisti è un Purgatorio in cui il tempo della crescita individuale è stato sospeso.