Rocco e Guido sono fratelli, ma non potrebbero essere più diversi: Rocco è un “animale domestico” che ha sempre vissuto accanto a quel padre rancoroso e polemico che ha allontanato da casa la moglie, e di conseguenza anche il figlio minore Guido, che se ne è andato invece per il mondo a fare il “manager del divertimento” sulle navi da crociera. Tanto Rocco è silenzioso, pacato e timoroso, quanto Guido è chiassoso, incontenibile e spericolato. Trent’anni dopo la sua partenza, Guido torna sulle natie colline dell’Emilia-Romagna per partecipare al funerale del padre, che gli ha lasciato una lettera di commiato in cui gli chiede di andare a spargere le sue ceneri sulla tomba della madre, nel cimitero di Cervia. I due fratelli partiranno così per questa insolita missione, e lungo la strada – fra un battibecco e l’altro – scopriranno di avere ancora molto in comune, e qualche segreto da rivelarsi (o no) a vicenda.
50 km all’ora, terza regia di Fabio De Luigi, anche sceneggiatore insieme al fedele sodale Giovanni Bognetti, è un road movie in cui, a bordo di un Ciao e di un Califfone biecamente truccati (più ruspanti della Vespa Special di Cremonini), lo stesso De Luigi (Rocco) e Stefano Accorsi (Guido) attraversano la loro regione natale sull’onda della nostalgia per quel passato cui entrambi sono rimasti ancorati per trent’anni.
Due cinquantenni che si comportano come i ventenni che sono stati, accapigliandosi ed entrando costantemente in una competizione giocosa che nasconde però antiche ruggini e rancori. La chimica di coppia, ricca di improvvisazioni momentanee, funziona soprattutto grazie ai tempi comici di Accorsi, cui il ricongiungimento con le radici emiliane fa sempre un gran bene (vedi anche il ruolo in Veloce come il vento e negli spot della regione Emilia-Romagna, che qui partecipa alla produzione). Combinato come un mix fra il mago Silvan e l’Andrea Roncato dei film di Sergio Martino, Accorsi riesce ad essere insieme irresistibile e spassoso, seducente e ridicolo.
Quel che invece stroppia, ad una produzione in cui figurano anche Iginio Straffi e Alessandro Usai, Colorado Film e persino Sony Pictures, è l’intenzione commerciale, evidente in tutto l’impianto e apparentemente ostativa di qualsiasi affondo sotto la superficie. Come Rocco, 50 km all’ora sceglie di rischiare meno creativamente di quanto potrebbe, dato anche il tema delle complicazioni nei rapporti famigliari e del diventare adulti in un mondo che consente la perpetua adolescenza. Allo stesso modo stroppia il commento musicale “vanziniano” di Stefano Della Casa intervallato da hit anni Ottanta, che è certamente un omaggio intenzionale all’era (geologica) in cui i due protagonisti sono stati ragazzi, ma che tiene ancora di più in superficie la narrazione, perdendo l’occasione di arricchirla di sottotesto e sfumature.
Il che non significa che 50km all’ora sia un film mal riuscito, anzi: per i suoi scopi e le sue intenzioni è centratissimo e, cosa non scontata, fa ridere spesso, a volte di gusto, grazie a una serie di gag ben scritte e ben interpretate dal duo centrale, con l’aggiunta dei cammei preziosi di Alessandro Haber (il padre) e di Vito e Paolo Cevoli (l’oste e il prete) a rafforzare il colore regionale della storia: in questo senso 50 km all’ora sta all’Emilia-Romagna come Basilicata coast to coast sta alla Lucania.
Ed è molto possibile che il film di De Luigi dia inizio ad un ciclo di commedie interpretate da questo nuovo duo comico alla…. salama da sugo. Ma l’aspirazione sembra essere più l’opera omnia gentile e rassicurante del trio Aldo, Giovanni e Giacomo (tant’è che c’è un cammeo di Marina Massironi) più che la tradizione della commedia all’italiana, in grado di rigirare il coltello nella piaga (comica). Un po’ meno opportunismo commerciale e un po’ più di coraggio creativo potrebbero invece far fare a De Luigi il salto autoriale cui forse nemmeno aspira, ma che sarebbe invece alla sua portata, se ci provasse davvero