Nella magica terra di Rosas, un’isola di pace e armonia, uomini e donne, al compimento del diciottesimo anno, affidano i loro sogni a re Magnifico, affinché li protegga e li realizzi. La diciassettenne Asha è vicina a quel momento, ma ciò che più le sta a cuore è che il suo adorato nonno possa vedere realizzato il suo sogno, nel giorno del suo centesimo compleanno. Per questo, e per la fede che ripone nella sua guida, Asha si propone come assistente del re, ma quello che scopre, una volta al suo cospetto, la lascia dubbiosa e sconvolta. Magnifico non è il mago altruista che tutti credono essere, e i sogni delle persone, con lui, non sono affatto al sicuro. Disperata, la ragazza esprime un desiderio al cielo stellato e si prepara a lottare perché la verità venga rivelata.
Il sessantaduesimo classico Disney si propone come un film speciale, un omaggio programmatico ai personaggi, alle storie e ai disegni che hanno fatto la storia della major più famosa del mondo, in occasione del centesimo anniversario.
“Se puoi sognarlo, puoi farlo” recitava il motto dello zio Walt, dunque cosa meglio di un film sull’importanza vitale dei sogni, con al centro quella stellina nel cielo, capace di far avverare i desideri più sentiti, di cui cantava il Grillo Parlante con la voce di Cliff Edwards nel 1940?
Wish nasce dunque con intenzioni nobili e celebrative, ma, spiace dirlo, non va molto al di là di esse. Il desiderio di fare della protagonista un simbolo delle eroine che l’hanno preceduta ne limita la caratterizzazione, e così è per il villain, che è un po’ tutti i cattivi e nessuno, e per la mascotte del film: una stella che si chiama Star, perché evidentemente la fantasia, in un mondo che è fatto della stessa materia, rischia qualche volta di essere data per scontata.
Come un figlio che si rovina da solo cercando di compiacere i genitori (in questo caso, per di più, innumerabili) il film di Chris Buck e Fawn Veerasunthorn rinuncia ad una propria originalità pur di non scontentare nessuno e pur di proporsi come un episodio universalmente valido, una summa della poetica made in Disney.
Anche volendo crederci fino all’ultimo, anche “sperando fermamente”, come Cenerentola ci invita a fare, dopo una lunga premessa tematica sull’importanza di avere un sogno, dopo un primo brano inaugurale che ricalca l’esordio musicale di Encanto senza eguagliarne la bellezza, e dopo che la parola “sogno” viene utilizzata fino allo sfinimento, diventa chiaro che il film non ha profondità, che parla esattamente di quello di cui parla, che mette in scena dei personaggi secondari che fanno i secondari senza che la loro presenza vada mai oltre la mera funzione, e che accadrà esattamente quello che ci aspettiamo che accada. Ma non è così che funzionano i sogni.