Il giovane Willy Wonka arriva in città con pochi denari e una tavoletta di cioccolata nel cilindro a metà fra il cappello del prestigiatore e la borsa di Eta Beta. Il suo sogno è aprire una grande cioccolateria nella piazza in cui però coesistono già tre mastri cioccolatai che fanno cartello fra di loro e non ammettono un nuovo concorrente: soprattutto uno che con i suoi cioccolatini riesce a far volare i clienti. Willy soggiorna presso una locanda la cui proprietaria gli fa firmare un contratto pieno di clausole che lo vincolano a lavorare per anni nella sua lavanderia, dove soggiornano anche altri malcapitati ingannati allo stesso modo in epoche diverse. Fra di loro c’è Noodle, una ragazzina che è stata recuperata dall’ostessa nel cassonetto dei panni da lavare e che è costretta a ripagare tanta generosità con il ruolo di schiava della locanda. Al gruppetto non resta che unire le forze e tenersi stretti i propri sogni, sperando un giorno di realizzarli tutti.
Wonka è il prequel al romanzo “La fabbrica di cioccolato” di Roald Dahl, già portato sul grande schermo due volte: la prima nel 1971 da Mel Stuart, protagonista l’attore comico Gene Wilder, la seconda nel 2005 da Tim Burton, protagonista Johnny Depp.
Questa volta alla regia c’è Paul King, che tira fuori tutta la sua britannicità e si richiama apertamente alla minisaga di Paddington, da lui magistralmente diretta. King sceglie la strada della favola tout court e crea un protagonista buono e ingenuo, facile preda dei malintenzionati ma determinato a non abbattersi mai: un sognatore con un’immaginazione che gli consente di superare ogni difficoltà passando su ogni ingiustizia con leggerezza.
Ed è leggerissimo Timothée Chalamet, che nei panni di Willy salta e balla come un pupazzetto da teatrino vittoriano, e canta canzoni scritte apposta per quello che è a tutti gli effetti un musical, oltre ai due motivi indimenticabili dei film precedenti: “Pure imagination” e “Oompa Loompa”. E a proposito di ooompa loompa, qui ce n’è uno solo ma vale per cento, perché ha l’umorismo e l’autoironia di Hugh Grant.
È proprio da questo dettaglio che si intuisce quale sia il problema di Wonka, ovvero il tradimento dello spirito sarcastico e iconoclasta di Dahl che è sempre piaciuto tanto ai bambini (e ai grandi) di tutto il mondo. King fa del suo Willy un elfo gentile senza un briciolo di cattiveria o di (spassoso) cinismo, lasciando che i cattivi siano solo i componenti del “cartello del cioccolato” e la locandiera che la mitica Olivia Colman interpreta come un incrocio fra la Trinciabue di Matilda sei mitica e la Mrs. Lovett di Sweeney Todd.