Antonio Cerami è un attore di teatro che da tre anni non calca il palcoscenico, vive da solo in un appartamento a Ciampino dove sente il passaggio di ogni aereo e doppia film porno per arrivare a fine mese. Il suo amico Michele, che ha un lavoro stabile presso un piccolo teatro romano, gli trova un incarico insolito: sei giorni di lezioni di recitazione presso un carcere di Velletri allo scopo di far mettere in scena ai detenuti una serie di favole. È un progetto finanziato dal Ministero cui la direttrice del carcere, Laura, ha acconsentito senza troppo entusiasmo, ma ad entusiasmarsi sarà Antonio, che deciderà di mettere in scena presso il teatro di Michele un progetto più grande: “Aspettando Godot” di Samuel Beckett, perché i detenuti “sanno cosa vuol dire aspettare: non fanno altro”. Così Mignolo dalla moglie focosa, Aziz nato a Tripoli e arrivato in Italia col gommone, Damiano il balbuziente, Diego il boss e Radu l’addetto alle pulizie rumeno lavoreranno per interpretare un testo complesso e impegnativo, con risultati tutti da scoprire.
Riccardo Milani dirige e adatta (insieme a Michele Astori, entrambi autori di soggetto e sceneggiatura) il film francese Un Triomphe di Emmanuel Courcol, a sua volta tratto dalla storia vera dell’attore svedese Jan Jonson, che mise effettivamente in scena Beckett con un gruppo di detenuti.
Non stupisce che alla produzione francese ci fosse anche Robert Guédiguian, perché l’intento al cuore di questa storia è dichiaratamente sociale: ovvero far capire quanto la recitazione significhi per coloro che sono tagliati fuori dal mondo e che spesso non hanno gli strumenti culturali per conoscere il teatro e il suo grande potere trasformativo.
Milani rispetta la dimensione reale della storia con una regia che a tratti è quasi documentaristica, mentre alla sceneggiatura “costruita” spetta il compito di definire caratteri e creare situazioni appetibili al grande pubblico. E se è vero che la lezione di quanto il teatro in carcere faccia miracoli è già stata raccontata al cinema (punta di diamante Cesare deve morire dei fratelli Taviani) è anche vero che raccontarla in forma drammaturgicamente elaborata senza cadere nel pietismo e senza per contro creare situazioni in cui si ride dei carcerati e non con loro, resta una sfida.
Antonio Albanese è il perno emotivo attorno al quale ruota la storia, letteralmente e figurativamente, e gli fanno corona Vinicio Marchioni, Andrea Lattanzi, Giorgio Montanini e Bogdan Ioardachioiu, anche se il più toccante è Giacomo Ferrara nel ruolo di Aziz. Peccato non poter vedere più a lungo (per motivi che non possiamo spiegare) Gerhard Coloneci, mentre Sonia Bergamasco è opportunamente formale (ma sempre pronta a scongelarsi) nella parte di Laura.
Grazie ragazzi è il tipo di film che negli Stati Uniti si definisce “crowd pleaser”, cioè disegnato per andare incontro al gradimento del grande pubblico, dunque si risparmia digressioni filosofiche vezzi autoriali per mettersi a servizio del racconto con onestà e gentilezza, e tuttavia si concede un finale non del tutto encomiabile.
Le musiche di Andrea Guerra (più la canzone di Vasco “I soliti”) accompagnano la piacevolezza dell’insieme che, pur rimanendo orgogliosamente sul versante dell’accessibilità, ha il dono di raccontare gente semplice, spesso non per scelta, con disarmante semplicità.