WOMEN TALKING – IL DIRITTO DI SCEGLIERE

UNA PROVOCATORIA ALLEGORIA DEL POTERE CHE INVITA ALL' AZIONE ESPLORANDO UN TERRENO PER QUASI TUTTE INACCESSIBILE
WOMEN TALKING – IL DIRITTO DI SCEGLIERE

Una comunità religiosa si spacca in due: da un lato ci sono gli uomini, alcuni dei quali (forse tutti?) hanno narcotizzato e poi stuprato le “femmine” di ogni età, lasciandole emotivamente e fisicamente danneggiate o addirittura incinte, tanto che una di loro ha scelto il suicidio; dall’altro ci sono le donne e le ragazze più grandi, riunite in un fienile per decidere come reagire all’accaduto. Le opzioni sono tre: perdonare, in conformità con i dettami della fede; dare battaglia agli stupratori; o abbandonare la comunità per trasferirsi altrove. La discussione si anima e ognuna delle presenti, dalle più giovani alle più anziane, esprime la sua posizione, talvolta in toni accesi, talvolta con rassegnazione. A prendere appunti sulla procedura, per richiesta delle partecipanti, è un uomo, August, ex insegnante della comunità cacciato tempo addietro insieme alla madre che seminava troppi dubbi e poneva troppe domande scomode ai vertici (maschili). La tensione cresce, ma non mancano brevi momenti di ilarità e slanci di affetto fra tutte le partecipanti.

Women Talking trae spunto dal romanzo “Donne che parlano” firmato nel 2018 dalla scrittrice canadese Miriam Toews, ed è il secondo film di finzione scritto e diretto dall’attrice, sceneggiatrice e regista canadese Sarah Polley, già autrice del magnifico documentario Stories We Tell e dell’altrettanto magnifico Away from Her – Lontano da lei.

Due dei suoi titoli alludono esplicitamente alla volontà di raccontare storie attraverso la voce delle donne, ed è ciò che fa Polley, alzando ogni volta l’asticella della sua ambizione espressiva. In quest’ottica è davvero sorprendente che la sua cinematografia sia relativamente poco conosciuta al di fuori del Nordamerica, così come stupisce che fra il suo ultimo film da regista e quello precedente siano trascorsi dieci anni.

Forse è altrettanto sintomatico che oltreoceano Women Talking sia stato recensito (peraltro moto favorevolmente) soprattutto da critici uomini, così come è interessante che tra i produttori esecutivi figuri Brad Pitt, che aggiunge un altro tassello alla sua esplorazione del cinema impegnato.

Il film di Polley è dichiaratamente contrario non tanto agli uomini quanto alle distorsioni più becere e violente del patriarcato, che hanno avuto per oggetto le donne perché “su qualcuno era necessario dominare”. Nel costruire quella che sembra un incrocio fra una favola nera “orchi contro streghe” e un “western dell’attesa” al femminile, Polley crea una divisione programmaticamente manichea fra uomini e donne, permettendo solo al personaggio di August di esprimere una mascolinità alternativa, ma forse commettendo l’errore di affidare quel ruolo ad un attore dichiaratamente gay i cui manierismi ricordano qui l’ambiguità di Anthony Hopkins: al netto della political correctness, un interprete più virile – alla Clint Eastwood, per dire – avrebbe forse veicolato meglio la speranza in un’evoluzione possibile del maschio alfa.

Ma lo schieramento unilateralmente femminile rimane un postulato drammaturgico potente, così come è potente la messinscena che rimanda a La parola ai giurati per l’accorata delibera fra opinioni diverse circa il destino degli accusati, ma anche Il racconto dell’ancella per l’atmosfera astratta e atemporale che sembra collocare la vicenda (che ha luogo nel 2010 e prende spunto da un episodio realmente accaduto in una comunità mennonita boliviana) in un futuro distopico. Forse il paragone più diretto è però con la trilogia “americana” di Lars Von Trier con Dogville e Manderlay, che in toni espliciti ed efferati raccontava la dominazione maschile più sciovinista.

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