Reduce da numerosi lutti e da un periodo di depressione, con tanto di ingrassamento, Thor, il figlio di Odino, ha ritrovato la forma e ha cercato la serenità nello spazio, insieme ai Guardiani della Galassia. Così viene a sapere che Gorr il macellatore degli dèi sta scatenando il panico su diversi mondi, uno dei quali è difeso dalla compagna asgardiana Sif. Thor lascia i Guardiani e, insieme a Korg e a due capre giganti avute in dono da una razza aliena, corre in soccorso di Sif, solo per scoprire che Gorr è diretto verso nuova Asgard, sulla Terra. Qui il Dio del Tuono lo affronta la prima volta e ritrova Jane Foster che ha nel mentre preso possesso di Mjolnir, il suo primo martello incantato, e ha assunto il ruolo della Potente Thor!
Dopo il successo di pubblico e critica di Thor: Ragnarok, Taika Waititi riprende e affina la propria ricetta, per un film altrettanto comico e super-pop, ma con più cuore, grazie a due figure tragiche come Gorr e Jane Foster.
La dottoressa di cui Thor è stato a lungo innamorato non si vedeva da un po’ nei film del Marvel Universe e in Thor: Love and Thunder ne scopriamo finalmente la ragione: si è ammalata di cancro. Veniamo inoltre a sapere come mai possa sollevare Mjolnir, ma anche che la sua trasformazione nella Potente Thor ha un effetto collaterale… La trama che riguarda Jane è di base fedele all’arco narrativo a fumetti del personaggio ideato e sceneggiato da Jason Aaron. Le cose vanno invece un po’ diversamente per Gorr che, deluso dagli dèi del suo pianeta, indifferenti al suo dolore e bramosi solo di nuovi sacrifici, formula un piano peculiare che lo porta ad aver bisogno proprio di Thor.
Al di là dei McGuffin che deve inseguire e di come vuole portare a termine lo sterminio degli dèi, Gorr è però tanto determinato quanto lo era nel fumetto. È infatti un padre che ha perso la figlia, più o meno come Wanda aveva perso i suoi gemelli continuando, dopo Doctor Strange nel multiverso della follia, un trend del Marvel Universe per cui la genitorialità castrata o cancellata è all’origine di scelte estreme che portano verso il male.
Il percorso di Thor è invece quello di un uomo che cerca di dimostrarsi degno di responsabilità, soprattutto a fronte dell’atteggiamento vanesio degli altri dèi. Quando gli eroi, insieme alle capre aliene dal chiassoso ed esilarante belato, si recano a Omnipotence City, per chiedere aiuto a Zeus, incontrano numerosi dèi che danno ragione a Gorr e ai suoi atei propositi. A interpretare la massima divinità dell’Olimpo c’è un Russel Crowe felicemente sovrappeso, spudorato nel parlare di orge e tutt’altro che coraggioso. Le altre divinità sono, nella migliore delle ipotesi, buffe figure comiche, nello stile di Waititi, dove su tutti spicca l’indimenticabile Bao, il dio dei ravioli.
Quello che rende però Thor: Love and Thunder tematicamente diverso da tutti gli altri film Marvel, è che anche l’eroe assume un ruolo via via più paterno: è deciso a salvare un gruppo di bambini e fare loro da modello, inoltre manifesta inconfessati desideri di paternità e proprio questa empatia per il ruolo genitoriale lo porta a comprendere Gorr nel momento chiave. Il tema è sviluppato anche attraverso altri personaggi, in una visione che supera gli steccati di gender, con la omogenitorialità della specie di Korg e il poliamore delle famiglie da sei membri dei delfini spaziali.
L’altro elemento unico di Thor: Love and Thunder è lo stile rock, con molte canzoni dei Guns’n’Roses e con grafica e colori da cover di LP hard core. Perfetto anche il brano sui titoli di coda: “Rainbow in the Dark” di Ronnie James Dio.
E a proposito di titoli di coda sono immancabili le due consuete scene finali: una a metà, dedicata all’introduzione di un nuovo personaggio, e una alla fine, che in questo caso non è la solita gag o una battuta senza conseguenze ed è invece centrale per uno dei protagonisti del film e per il suo futuro. Questa volta più che mai: non uscite di sala in anticipo!