Dune

UN REMAKE VINCENTE CHE RIDÀ NUOVA VITA AL PLOT ORIGINALE FONDENDO RIFLESSIONE E SPETTACOLARITÀ.
Dune

Nel sistema feudale che domina l’universo nel futuro il potere è nelle mani di un imperatore sotto il quale lottano tra di loro delle importanti casate. Sul desertico pianeta Arrakis si trova la Spezia, sostanza preziosa per una varietà di motivi. Alla casata Atreides e al suo capo, il Duca Leto viene affidato il controllo del pianeta ma in realtà si sta approntando una congiura per eliminarlo. Leto ha però un figlio, Paul, il quale è dotato di particolari poteri che sta sviluppando con l’aiuto di sua madre Lady Jessica. Anche lui finisce quindi con il diventare un ostacolo da abbattere.

La storia del cinema è costellata da remake sostanzialmente di due tipi. Ci sono quelli che, a distanza di anni dall’originale, si limitano a sfruttare le nuove opportunità offerte dalla tecnologia riproponendo però nella sostanza ciò che era già stato detto e portato sullo schermo. Ci sono poi quelli che invece ridanno letteralmente nuova vita al plot scavando nelle sue pieghe più intime trascurate in precedenza.

È quanto accade con questa prova di Denis Villeneuve che affronta le quasi 700 pagine del libro di Frank Herbert, ormai divenuto un classico della fantascienza, dalla prospettiva filologicamente più corretta e cinematograficamente più efficace. Rinuncia cioè a una illusoria sintesi, destinata inevitabilmente a creare buchi di sceneggiatura data la complessità dell’intreccio, e ci propone una prima parte di notevole durata ma di altrettanto notevole efficacia.

Le scelte vincenti sono molteplici ma due emergono in modo particolare per quanto riguarda il casting. Aver affidato a Timothée Chalamet il ruolo di Paul si rivela assolutamente coerente con il percorso di apprendimento che il personaggio deve affrontare. La sua giovane età e il suo aspetto fisico aderiscono a una ricerca interiore che non si limita ad una banale acquisizione di forza o di destrezza nell’uso delle armi ma si esplicita in un interrogarsi, quasi da Amleto in formazione, su quale sia il senso del suo esistere e il compito che lo attende come essere umano ancor prima che come appartenente a una casata nobiliare.

Accanto a lui troviamo la madre di Rebecca Ferguson, che con la sua presenza forte nella prima parte, si appresta a passare il testimone alla Chani di Zendaya confermando l’attenzione che, nella sceneggiatura, Villeneuve ha dato alla presenza femminile in questa struttura che sta in equilibrio perfetto tra il remake e il prequel.

Quello che poi emerge con grande efficacia sul piano del ritmo narrativo, in un film in cui l’enormità degli interni ci ricorda costantemente la piccolezza dell’essere umano anche quando detiene poteri straordinari, è l’assoluta mancanza di autocompiacimento. Villeneuve alterna situazioni che a un occhio attento rivelano un ingente sforzo produttivo senza mai tenerle sullo schermo un secondo di più del necessario.

Il suo pregio più grande però (e non poteva essere diversamente per un ammiratore di 2001. Odissea nello spazio) è quello di ricordare a tutti, anche ai detrattori del genere, che la cosiddetta fantascienza, quando è di livello alto, tratta del futuro per ammonire sul presente. In Dune lo sfruttamento coloniale, il potere fine a se stesso, il rapporto di conoscenza tra essere umano e Natura (anche quando questa si presenta con l’aridità del deserto), la possibilità di coesistenza e collaborazione tra etnie sono solo alcuni dei temi proposti. Villeneuve li affronta tutti fondendo riflessione e spettacolarità.

Dune
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TERMINATA