DREAM HORSE

DA UNA STORIA VERA, UNA COMMEDIA POPOLARE CHE ELOGIA IL GIOCO DI SQUADRA E LA PERSEVERANZA DI UNA DONNA COCCIUTA E SOGNA
DREAM HORSE

In un piccola villaggio del Galles vive la cinquantenne Jan Vokes, cassiera in un supermercato e sposata con un uomo che ama ma col quale la passione è scemata da tempo. Stanca della sua vita, Jan ritrova la vecchia passione per i cavalli e investe tutto nell’allevamento di una purosangue dalla quale generare un giovane cavallo da corsa: Dream Alliance. L’impresa è folle, ma grazie al sostegno del marito e dei concittadini, con i quali forma un’associazione per dividere le spese di gestione, Jan iscrive il cavallo al prestigioso Welsh Grand National e nonostante l’inesperienza lo porta a trionfare contro ogni pronostico.

Dalla vera storia di Jan Vokes e del suo fenomenale Dream Alliance, vincitore del Welsh National nel 2009, una commedia che racconta la classica parabola vincente dell’underdog, elogiando il gioco di squadra e la perseveranza di una donna cocciuta e sognatrice.

È difficile resistere alla contagiosa forza degli abitanti di Cefn Forest, l’ex villaggio minerario del Galles da cui provengono i protagonisti di Dream Horse, capaci di passare dalla desolazione della brughiera al verde smagliante e aristocratico degli ippodromi. Il film di Euros Lyn, anonimo e professionale regista di lavori televisivi (Queste oscure materieDaredevilBlack MirrorSherlockDoctor Who), non ha altre qualità che non siano la simpatia dei suoi personaggi e la professionalità dei suoi interpreti, a cominciare dalla trascinante Toni Collette, dimessa eppure elegante, spaesata e incredibilmente sicura di sé.

Senza cercare particolari qualità al film, o al contrario senza soffermarsi sulla sua prevedibilità (non tanto della vicenda, che è reale, ma del mondo in cui è messa in scena), Dream Horse è un esempio di cinema medio e popolare come gli inglese sanno ancora fare, celebrazione del popolo inteso come comunità di persone e intenti.

Per il pubblico italiano ci sarà come al solito il limite del doppiaggio, dal momento che è soprattutto attraverso la parlata di Jan e compari – rozza e marcata rispetto a quella più elegante degli abituali e nobili frequentatori del Welsh National – che emergono l’alterità e l’unicità esaltate dal film. Campagnoli, estroversi, rozzi e casinisti, i proprietari di Dream Alliance partecipano a una festa alla quale non sono stati invitati, finendo però per diventarne i padroni. Lo sport dei re, come viene definita l’equitazione, è praticato per una volta dalla gente comune, nel nome di quell’unione sindacale che proprio nelle miniere del Galles venne sconfitta dalle politiche della Thatcher e dalle regole del neoliberismo.

All’insegna del cosiddetto “hwyl”, parola gallese che indica “motivazione ed energia”, l’inesperta e inadeguata Jan Vokes ribalta il proprio destino e regala gioia e soldi alla sua terra (la didascalia finale informa che Dream Alliace ha vinto in totale 137.000£, con un guadagno di 1430$ per ogni membro dell’associazione).

La costruzione del film, che dalle iniziali difficoltà del cavallo arriva alla vittoria finale nel Welsh National, sotto gli occhi di nobili proprietari di purosangue che si arrendono allo strapotere del cavallo venuto dal nulla, si concentra sulle dinamiche esistenziali dei personaggi (oltre a Jan e al marito, anche il composto Howard interpretato da Damian Lewis, anch’egli deluso dalla vita e in crisi con la moglie), lasciando in disparte il versante sportivo della vicenda, nonostante il montaggio efficace delle sequenza di corsa.

Dream Horse non è un film sull’equitazione e sulla cura dei purosangue (sull’argomento rimandiamo al bellissimo romanzo “Lo sport dei re” di C.E. Morgan), ma una classica storia di riscatto che mette in parallelo la competizione sportiva e la realizzazione esistenziale, trovando nel cavallo sfavorito e vincente il riflesso dei suoi padroni, ciascuno coi propri desideri frustrati.

Le inquadrature più frequenti del film sono non a caso quelle che mostrano i volti di Jan, del marito, di Howard e dei loro variopinti colleghi in trepidante sospensione di fronte alle galoppate di Dream Alliance, seguite poi dalle esplosioni di gioia: una sorta di anthem cinema, insomma, di cinema all’insegno dell’inno, come suggerito in fondo anche dalle canzoni cantate a squarciagola nel corso del film, da “A Design for Life” dei Maniac Street Preachers alla popolare “Cwm Rhondda”, fino a Delilah dei Queen, eseguita (in playback) dal cast sui titoli di coda.

DREAM HORSE
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TERMINATA