Tempi duri per la Galassia, forze oscure tramano nell’ombra e minacciano la Repubblica. Ma Ian è ancora troppo giovane per occuparsi delle cause dei grandi. L’unica cosa che desidera davvero è pilotare una nave spaziale per sfuggire l’oppressione con Qi’ra, la ragazza che ama. Intrepido e sfrontato, ha carattere da vendere e il coraggio di provarci ma nella fuga qualcosa va storto e il destino lo separa da Qi’ra. Ian si arruola come pilota, guadagna il cognome e promette di tornare a prenderla. Perché ha carattere da vendere e un amico wookiee che lo aiuta nell’impresa. Disertore per amore e poi ladro, imbroglione e contrabbandiere, vince a carte il Millennium Falcon e impara sul campo le regole del gioco.
Pratica rischiosa quella degli episodi e degli spin-off, che non possono accontentarsi di essere soltanto dei buoni film ma devono rassicurare l’intransigente esercito di fan che veglia sulla saga di Georges Lucas.
Dai fanatici della prima ora ai neofiti per cui il prossimo film sarà sempre il primo della saga, dai delusi della prequel trilogy agli azionisti della Disney che sperano di vedere giustificati i miliardi di dollari investiti. In mezzo, in una galassia sufficientemente lontana, ci sono gli artisti che fanno quello che possono provando a non cedere al lato oscuro e a ristabilire l’ordine (del bene). Ciascuno con la sua personalità, il suo stile e un amore infantile per i propri eroi che risale indietro nel tempo. Dopo J. J. Abrams (Star Wars: Il risveglio della Forza), Gareth Edwards (Rogue One) e Rian Johnson (Star Wars: Gli ultimi Jedi) è la volta di Ron Howard trovare qualcosa da raccontare e il modo migliore di farlo.
Situato cronologicamente prima di Star Wars Episodio IV – Una nuova Speranza, Solo: A Star Wars Story è consacrato alla giovinezza di Ian Solo, il mitico contrabbandiere interpretato da Harrison Ford. Spin-off, alla maniera di Rogue One, standalone story annunciato nel 2016 come il primo di una serie infinita, Solo è un blockbuster inerte che gratta la superficie come il Millennium Falcon in atterraggio di emergenza.
Senza affondare mai le mani (e nemmeno il cuore) nella mitologia spaziale in cui hanno pescato con estro creativo e vorace i suoi predecessori, gli sceneggiatori fanno avanzare l’azione a colpi di laser e baci rubati, scrivendo un racconto convenzionale privo di qualsiasi spinta epica o qualsivoglia efficacia narrativa. La trasgressione di Ian, quello di George Lucas e di Harrison Ford, è di un altro ordine. Ron Howard lo ignora limitandosi a perpetuare un cinema d’avventura che trastulla lo spirito dello spettatore invece di imbarcarlo nel mito.
L’antieroe farabutto e irriducibile che ha cavalcato il nostro immaginario a bordo del Millennium Falcon e a fianco dell’inseparabile Chewbecca (formidabile il suo ingresso in scena) non ispira più di questo a Ron Howard, i cui i film valgono sovente quello che valgono le loro sceneggiature. Alla maniera di Heart of the Sea, incapace di aprire gli abissi metafisici che inghiottono il lettore di “Moby Dick”, Solo non trova nuova forza per una vecchia saga. Svogliato e privo di invenzioni formali, questo western intergalattico fuori dalla grazia e dal (suo) contesto drammatico manca la magia dell’origine e delle origini di Ian, battezzato Solo da un burocrate in divisa e convertito all’azzardo (e al gioco da azzardo) dal Lando gigionesco di Donald Glover. A ereditare il ruolo leggendario del fuorilegge canaglia è invece Alden Ehrenreich, rivelazione folgorante in Ave, Cesare!, che abita con ingenuità vigile i suoi anni verdi ma ignora l’evidenza che incarna.
Per quelli che dormono in fondo alla classe da quarant’anni non guasta ricordare che lo spin-off di Howard immagina la giovinezza del nostro cogliendolo prima del suo incontro con la Ribellione e Luke Skywalker. Prima del suo amore per Leila e dell’umorismo canaglia che la innamora. Congedati per “divergenze artistiche” Phil Lord e Chris Miller, Ron Howard si aggiudica il film ma non la partita. Il desiderio di tornare sempre a Star Wars e di rimetterlo in discussione, lanciando l’eredità del passato verso l’avvenire, è al cuore della saga e di quello che ha di più naturale. È l’equilibrio della forza. Farla morire o rivivere. Ron Howard sceglie una desolante sopravvivenza